Sanremo 2025, Carlo Conti meglio di Amadeus? Spoiler: no
Ascolti da record, emozioni ai minimi storici: un Festival senza intoppi, senza sorprese e, soprattutto, senza momenti memorabili
La prima serata del Festival di Sanremo, edizione Carlo Conti bis, è andata. E con ascolti da record: 12.180.000 spettatori, 65,3% di share. Tradotto: 2 milioni di spettatori in più rispetto all’anno scorso. Quindi Conti batte Amadeus? Insomma.
Da dicembre 2024, Auditel ha cambiato il sistema di rilevazione con la Total Audience, che include non solo la tv tradizionale, ma anche le visualizzazioni su mobile, smart TV e streaming (tipo RaiPlay). Insomma, i numeri sono più alti perché vengono contati in modo diverso. E poi, diciamolo: fare boom di ascolti non significa automaticamente che la serata sia piaciuta. Forse, la butto lì, molti hanno continuato a guardare sperando che a un certo punto migliorasse.
Tutto è filato liscio, sì, ma in pratica non è successo niente. “Ci aspettavamo di più”, ha sentenziato Selvaggia Lucarelli al DopoFestival di Alessandro Cattelan, apparentemente l’unica a essere onesta e a non avere paura di essere depennata dalla lista degli invitati. E in effetti, in quasi quattro ore di diretta, il divertimento e la sorpresa sono proprio mancati. Niente battute, niente risate, niente meme, niente esibizioni wow.
Carlo Conti non è Amadeus, e la sua serata di esordio ha seguito la scaletta con la precisione di un quiz a premi delle 19, con Gerry Scotti che fa Gerry Scotti e che, paradossalmente, con il suo stile Mediaset degli anni d’oro di Berlusconi, riesce a sdrammatizzare per un attimo l’atmosfera ingessata dell’Ariston. L’usato sicuro, alla fine, è sempre la carta migliore. Tuttavia, l’impressione è che, lasciato un po’ più libero, Gerry si sarebbe completamente mangiato il padrone di casa.
Antonella Clerici, che ha molta esperienza e il grande pregio di apparire spontanea e accogliente, è rimasta “un passo indietro”, come compressa in un corsetto Regimental troppo stretto. Solo nella seconda parte della serata è riuscita a regalare qualche guizzo, tra l’insofferenza per i cantanti più impegnati a collezionare punti per il Fantasanremo che a cantare e una frecciatina a Ligabue lanciata da sopra un piatto fumante di trofie al pesto.
In questo clima da Ancien Régime (sorvoliamo sull’evitabilissimo intervento del Papa), dove la maggior parte dei testi sembra un bollettino di sventure tra morte, sciagure e malattie, si salvano giusto Willie Peyote (“Dovresti andare a lavorare e non farti manganellare nelle piazze”) e Lucio Corsi, che ha il merito di non assomigliare a nessun altro, se non a se stesso.
Forse nel tentativo di dare una rinfrescata, il mitico jingle “Perché Sanremo è Sanremo” è stato rimpiazzato da “Tutta l’Italia” di Gabry Ponte, con i tre conduttori che provano a trascinarci nel ritmo dance. Peccato che di ballabile, in tutto il Festival, non ci sia nient’altro. Il problema è che, a un certo punto, il tentativo di creare il momento iconico diventa fin troppo evidente. Solo che non succede. Forse proprio perché ci si sforza troppo.
Carlo Conti, nel frattempo, ha ripetuto più volte – con grande fierezza – di essere “in anticipo sulla tabella di marcia” (di ben 20 minuti), come se fosse un vanto e non il segnale di una scaletta che corre a velocità 2x. A tratti, sembrava avesse qualcosa di più importante da fare dopo e non vedesse l’ora di liberarsi di ospiti e cantanti. Il risultato è un carosello forsennato di 29 esibizioni sparate a raffica, senza un attimo di respiro. Una maratona che ricorda le sessioni su TikTok: apri l’app per una cosa precisa e ti ritrovi mezz’ora dopo a guardare fancam di Lautaro Martínez con sottofondo tamarro. Di tutto quello che hai visto nel frattempo, nessun ricordo.
Bel pezzo, Sivia. Mi trovi d'accordo su tutto!
Bisogna anche dire che sono anni che su leggono complimenti all'Eurosong che è strutturato proprio così, uno via l'altro e niente siparietti che (forse, quasi certamente)non interessano